Un ringraziamento speciale al prof.Dondi per la concessione del seguente articolo
Premessa
Il termine sordità indica la riduzione della capacità di percezione delle vibrazioni sonore ambientali. Nel cane la sordità anche se conosciuta da sempre ha suscitato negli ultimi anni un interesse progressivo a causa della crescente evidenza di forme congenite con base genetica, che determinano notevoli problemi di natura medica ed economica. L’obiettivo di questa review è di fornire informazioni sulla sordità canina congenita che possano permettere di impostarne corretti piani di controllo e di eradicazione.
CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLE VIE UDITIVE
L’orecchio da un punto di vista anatomico è suddiviso in tre parti: esterna, media e interna. La parte esterna è composta dal padiglione e dal condotto uditivo. Il primo è una struttura cartilaginea rivestita da cute molto mobile e di forma variabile, che riceve le vibrazioni dell’aria e le trasmette alla membrana timpanica attraverso il condotto uditivo, struttura tubulare con base cartilaginea all’inizio e ossea alla fine, rivestita da cute ricca di ghiandole sebacee e ceruminose. Il timpano separa la porzione esterna dell’orecchio da quella media ed è una struttura ellittica fibrosa semitrasparente di color grigio perla, che riceve le vibrazioni acustiche e le trasmette meccanicamente alle strutture dell’orecchio medio (Fig.1).
L’orecchio medio appare come una cavità ossea rotondeggiante contenente in posizione eccentrica la catena degli ossicini (martello, incudine e staffa) che articola il timpano alla finestra ovale. Sono presenti anche due muscoli, lo stapedio, che s’inserisce sulla staffa e contraendosi la retrae dalla finestra ovale, e il tensore del timpano, che s’inserisce sul manico del martello e tende la membrana timpanica.
Fig.1.: Rappresentazione schematica dell’anatomia dell’orecchio di cane. In figura sono indicate le componenti principali dell’orecchio esterno, medio ed interno.
La restante porzione è data dalla bolla timpanica, una cavità di compensazione nella quale sfocia la tuba uditiva o tromba di Eustachio, che si collega alla faringe. Sul timpano, in posizione mediale, corre la corda del timpano, branca molto importante del nervo facciale (VII nervo cranico) che conduce la sensibilità al gusto dalla porzione craniale della lingua e del palato.
La porzione interna dell’orecchio comprende coclea, vestibolo e canali semicircolari, che costituiscono una complessa serie di dotti e sacchi membranosi pieni di fluido, contenuti nel labirinto osseo. La coclea ha una forma simile alla conchiglia di una chiocciola ed è l’organo al cui interno sono situati i recettori acustici, mentre il vestibolo e i canali semicircolari contengono i recettori dell’equilibrio.
Fig. 2.: Sezione schematica di orecchio interno, orecchio medio e parte del condotto uditivo di cane.
Dall’orecchio interno originano le fibre cocleari e vestibolari, che confluiscono nel nervo vestibolo-cocleare o VIII nervo cranico (Getty 1964) (Fig.2.). L’innervazione sensitiva dell’orecchio esterno deriva dal se- condo nervo cervicale e da due nervi cranici: il facciale e il trigemino. L’orecchio medio invece è innervato dalla branca mandibolare del nervo glosso-faringeo, che fornisce il nervo timpanico e, assieme ai nervi caroticotimpanici (derivanti dal ganglio cervicale craniale del simpatico), forma il plesso timpanico, da cui derivano rami per la mucosa della cavità timpanica, compresa la faccia interna del timpano, e per quella della tuba uditiva (Bortolami e Callegari 1999).
Infine, l’orecchio interno è innervato dall’ottavo nervo cranico o vestibolo-cocleare. Questo nervo afferente le vie somatiche speciali (ASS) provenienti dalle cellule sensitive capellute è un nervo misto, composto per circa il 50 % da fibre motorie (Strain 1996). Esso è formato dalla branca cocleare e da quella vestibolare che si dividono all’ingresso nell’orecchio interno. Il nervo cocleare origina dal ganglio spirale (o del Corti) che ospita neuroni bipolari, e le sue fibre, attraversando il meato acustico interno, terminano a livello di due nuclei situati nel midollo allungato: il nucleo cocleare dorsale e il nucleo cocleare ventrale. Da questi nuclei partono le vie acustiche centrali che viaggiano lungo il tronco encefalico per giungere all’area acustica della corteccia cerebrale (Bortolami e Callegari 1999).
La percezione uditiva è una funzione estremamente complessa e si realizza grazie al funzionamento armonico di tutte le strutture dell’orecchio e delle vie uditive, e permette all’animale di tradurre le onde sonore presenti nell’ambiente in attività elettrochimiche e di condurle al sistema nervoso centrale dove vengono analizzate ed integrate agli altri circuiti nervosi (Sims 1988).
In sostanza la funzione dell’orecchio è di raccogliere i suoni presenti nell’ambiente e di tradurli in un messaggio neuronale che esita nella percezione cosciente degli stimoli uditivi. Inizialmente, le onde sonore sono raccolte dalla pinna, grazie anche alla sua mobilità che ne permette un’attiva localizzazione, e sono convogliate tramite il condotto uditivo esterno alla membrana del timpano che inizia a vibrare. Questa vibrazione viene poi amplificata e modulata dalla catena degli ossicini e è trasmessa dalla staffa alla finestra ovale (Strain 1996). La membrana del timpano segue le vibrazioni del suono, oscillando nei due sensi; è una membrana aperiodica, vale a dire che è in grado di vibrare per suoni di qualunque frequenza ed ha una grande capacità di smorzamento in quanto ogni oscillazione cessa pressoché istantaneamente al cessare dello stimolo e presenta un’elevata sensibilità. La sua sensibilità dipende dalla conservazione di eguale pressione atmosferica ai due lati della membrana; ciò è garantito dalla tuba uditiva che, aprendosi in faringe, riporta alla normalità le pressioni in caso di squilibrio (per esempio: sbadigli, deglutizioni, ecc.) Il sistema timpano-ossicini-finestra ovale è un importante adattatore d’impedenza, in quanto permette di aumentare la pressione sonora esercitata sulla staffa di 1,5 volte rispetto a quella che si ha sul timpano. Ciò è dovuto a tre fattori: l’effetto leva martello-incudine, il rapporto tra le aree del timpano/piede della staffa (circa 20 volte) e la curvatura della membrana e il modo in cui vibra (Giulio 1998).
L’azione dei muscoli stapedio e tensore del timpano sugli ossicini, oltre a proteggere l’orecchio dai danni dovuti a suoni troppo forti, come già detto in precedenza, regola le frequenze sonore; in particolare, il tensore del timpano accentua i suoni ad elevata frequenza, mentre lo stapedio, esalta suoni con bassa frequenza (Heine 2004).
Quando le vibrazioni sonore giungono al piede della staffa, questa spinge indietro la finestra ovale, comprimendo la peri- linfa all’interno della scala vestibolare. Queste onde pressorie viaggiano lungo la spirale della coclea fino all’apice e tornano indietro attraverso la scala timpanica fino alla finestra rotonda provocandone la deflessione con funzione di sfiato pressorio. Attraverso la finestra vestibolare il movimento della perilinfa viene trasmesso al vestibolo e da qui anche ai canali semicircolari. Nella coclea, invece, la perilinfa agendo sulle membrane vestibolare e basilare, mette in movimento anche l’endolinfa del dotto cocleare; ciò fa sì che le onde pressorie generino delle forze di taglio che agiscono sulle cellule capellute dell’organo del Corti. Poiché la membrana tectoria presenta un’elevata resistenza inerziale al movimento, le forze che spingono la membrana basilare verso quella tectoria provocano il piegamento delle stereociglia delle cellule acustiche (Strain 1996). L’incurvamento delle stereociglia provoca la depolarizzazione delle cellule capellute, che eccita le fibre nervose del ganglio spirale che prendono sinapsi alla loro base. In particolare l’avvicinamento e l’allontanamento della membrana basilare e di quella tectoria, l’una rispetto all’altra, fa sì che le stereo- ciglia oscillino avanti e indietro: il movimento in una direzione provoca la depolarizzazione della cellula, mentre il movimento nella direzione opposta la iperpolarizza, determinando così dei cicli di depolarizzazione/iperpolarizzazione (Heine 2004). La risposta delle cellule acustiche nei confronti dello stimolo sonoro varia in funzione della sua intensità e frequenza. Ogni cellula, infatti, è caratterizzata da una frequenza acustica cui è massimamente sensibile e questa varia anche in base alla loro sede lungo la coclea: a livello di base della coclea, dove la membrana basilare è più stretta e rigida, le cellule rispondono selettivamente a suoni con alta frequenza, mentre, verso l’apice della coclea, la membrana basilare diventa più ampia e flessibile e si ha una maggiore sensibilità a basse frequenze del suono (Giulio 1998).
Il meccanismo che sta alla base della depolarizzazione delle cellule capellute non è ancora certo, ma il modello più accreditato è quello secondo cui lo spostamento delle stereociglia modifica la resistenza elettrica della porzione apicale delle cellule, cambiando la corrente ionica che attraversa la membrana. Quest’ultima determina il rilascio di un neurotrasmettitore (facido aspartico o glutammico) che è captato dal terminale della fibra afferente cocleare, dove evoca un potenziale d’azione postsinaptico eccitatorio (Heine 2004). Oltre alla trasmissione per via aerea, di cui finora si è parlato, esiste anche una trasmissione ossea delle onde sonore; esse, infatti, possono propagarsi attraverso le ossa del cranio e giungere ugualmente a livello di coclea e stimolare la funzione uditiva. Naturalmente la percezione degli stimoli sonori per via ossea è minore rispetto a quella aerea, ma in caso di sordità conduttiva, questo tipo di stimolo può essere utile per identificare la sede del problema.
CLASSIFICAZIONE DELLA SORDITA’
Come si è visto le vie uditive sono strutture molto complesse e qualsiasi alterazione le coinvolga può provocare forme specifiche di sordità. La classificazione di quest’ultima può essere quindi fatta in base alla gravità della disfunzione, alla localizzazione anatomica delle lesioni e all’eziologia. Sulla base di questi elementi la sordità si può suddividere in: sordità completa o parziale, monolaterale o bilaterale, e infine, conduttiva (trasmissiva) o neuro-sensoriale, che a loro volta si suddividono in forme centrali o periferiche.
In base alla gravità si definisce sordità completa la perdita assoluta della funzione uditiva, mentre sordità parziale la riduzione della capacità uditiva rispetto alla norma. Tale riduzione può interessare tutte le frequenze sonore, oppure, come accade in corso di presbiacusia senile o di tossicità da farmaci, la degenerazione inizia coinvolgendo esclusivamente le porzioni cocleari deputate alla trasduzione delle frequenze più elevate. Infine possiamo distinguere la sordità monolaterale da quella bilaterale a seconda che siano colpite una o entrambe le orecchie.
Da un punto di vista neuro-anatomico è possibile inoltre classificare le alterazioni dell’udito in due categorie principali di sordità: centrale e periferica. La prima è estremamente rara, soprattutto nella sua forma pura ed è il risultato di lesioni retrococleari a carico del sistema nervoso centrale, generalmente associate a lesioni corticali o delle vie nervose talamo-corticali. La seconda invece riconosce forme più comuni causate da alterazioni funzionali a valle dei nuclei cocleari e quindi coinvolgenti il sistema nervoso periferico, cioè l’ottavo nervo cranico, e le strutture dell’orecchio nelle sue componenti esterna, media e interna. La sordità periferica può essere a sua volta classificata come ereditaria o acquisita in base alla sua trasmissione genetica; congenita o a insorgenza tardiva, a seconda del momento della comparsa; neurosensoriale o da conduzione, in base alla parte anatomica di orecchio interessata dall’alterazione patologica.
Nella pratica clinica le forme più frequenti sono la sordità neurosensoriale congenita ereditaria, solitamente associata ai geni della pigmentazione responsabili del colore bianco nel mantello; la sordità neurosensoriale a insorgenza tardiva, associata all’ototossicità di alcuni farmaci, all’invecchiamento (presbiacusia), a otiti interne gravi, e a rumori violenti; la sordità di conduzione ad insorgenza tardiva acquisita causata soprattutto da otiti esterne e medie o da un’eccessiva produzione di cerume; più rara, infine, è la sordità conduttiva congenita associata a predisposizione di razza. In alcuni rari casi sono state descritte forme di sordità congenita acquisita, sia neurosensoriale che conduttiva, dovuta a malformazioni, infezioni virali, farmacotossicità o anossia fetale o perinatale (Strain 1996; Dondi e Bianchi 1997).
EZIOPATOGENESI
La sordità congenita nel cane si manifesta in due forme principali: neurosensoriale e conduttiva. La sordità neurosensoriale congenita ereditaria è la più frequente ed è caratterizzata da un processo degenerativo a carico della coclea che si manifesta nei cuccioli di tantissime razze. Benché si parli di malattia congenita, la degenerazione non è presente al momento della nascita, ma inizia dal primo giorno di vita, per poi completarsi verso la terza-quarta settimana. Il tipo di sordità può essere mono o bilaterale, e nell’orecchio colpito provoca una sordità completa e irreversibile. La lista delle razze cani in cui è stata riscontrata la sordità congenita è in costante aumento: la più recente e completa, redatta da Strain (2011), conta circa novanta razze e include sia forme ereditarie sia acquisite, sebbene le prime siano molto più numerose delle seconde (Tab. 1.).
La sordità ereditaria è causata da diversi meccanismi di trasmissione genetica: autosomica dominante, autosomica recessiva, legata al sesso, mitocondriale e poligenica (multifattoriale). Spesso il meccanismo finale che determina sordità è sconosciuto poiché i fattori che possono complicare la modalità di trasmissione sono numerosi e scarsamente quantificabili, come ad esempio la penetranza incompleta di diversi geni o l’intervento di fattori ambientali che interagiscono con l’espressione genetica.
Nel cane non sono stati descritti casi di sordità legata al cromosoma X o mitocondriale; ma sono descritti tipi di trasmissione autosomica recessiva, ad esempio nel Doberman (in cui si associano anche sintomi vestibolari), nel “nervous” Pointer (soggetti selezionati per ricerche sullo studio dell’ansia) e nello Shropshire Terrier.
Nella maggior parte dei casi la sordità ereditaria è associata alla presenza di due geni: il gene merle (M) e il gene piebald o pezzato (S). Il gene merle altera il colore di base del mantello con la comparsa di macchie o una mescolanza di zone pienamente pigmentate e zone più chiare. Questo tratto genetico, presente in numerose razze tra le quali: Collie, Pastore delle Shetland, Bassotto Pezzato, Alano Arlecchino, Foxhound Americano, Bobtail e Norwegian Dunkerhound, è dominante ed è l’allele M che schiarisce alcune aree del man- tello in modo casuale, creando un’alternanza di zone chiare e scure su una colorazione uniforme sottostante. I soggetti eterozigoti (Mm) presentano la comparsa del tipico mantello merle, desiderato e apprezzato in molte razze, mentre negli omozigoti recessivi (mm) la pigmentazione è uniforme, più scura e senza variazioni cromatiche. Infine, negli omozigoti dominanti (MM) il mantello è parzialmente o totalmente bianco (detto bianco solido) con iridi azzurre, ed è a volte associato oltre alla sordità anche a cecità, microftalmia e sterilità. E’ da sottolineare il fatto che anche cani eterozigoti possono essere sordi, e la probabilità che lo siano aumenta con l’aumentare della quantità di bianco nel mantello. Quindi, sebbene il gene merle sia dominante, la sordità associata ad esso non è trasmessa come un semplice tratto dominante (o recessivo) ma segue una distribuzione probabilistica.
Il gene piebald o pezzato (S), che si riscontra in altre razze quali: Dalmata, Bull Terrier, Samoiedo, Greyhound, Cane da montagna dei Pirenei, Sealyham Terrier, Beagle, Bulldog, Setter Inglese, è forse quello maggiormente associato a sordità. Il suo locus S influenza solo la distribuzione delle aree pigmentate e non (bianche) sul corpo, mentre altri geni determinano il colore delle aree pigmentate. Il locus S ha almeno quattro alleli, uno dominante e tre recessivi: l’allele S dominante, noto come self o non-maculato, produce una pigmentazione completa (colore solido) sulla superficie del corpo, sebbene piccole aree bianche siano presenti a livello zampe e torace.
Akita | Coton de Tulear | Norwegian Dunkerhound | Collie |
American Bulldog | Dalmatian | Nova Scotia Duck Tolling Retriever | Newfoundland Landseer |
American-Canadian Shepherd | Dappled Dachshund | Old English Sheepdog | Yorkshire Terrier |
American Eskimo | Doberman Pinscher | Papillon | Cocker Spaniel |
American Hairless Terrier | Dogo Argentino | Pekingese | mongrel |
American Staffordshire Terrier | English Bulldog | Perro de Carea Leonés | Whippet |
Anatolian Shepherd | English Cocker Spaniel | Pit Bull Terrier | Chow Chow |
Australian Cattle Dog | English Setter | Pointer/English Pointer | Miniature Poodle |
Australian Kelpie | Foxhound | Presa Canario | West Highland White Terrier |
Australian Shepherd | Fox Terrier | Puli | Chinese Crested |
Australian Stumpy-tail Cattle Dog | French Bulldog | Rhodesian Ridgeback | Miniature Pinscher |
Beagle | German Shepherd | Rat Terrier | Walker American Foxhound |
Belgian Sheepdog/Groenendael | German Shorthaired Pointer | Rottweiler | Chihuahua |
Belgian Tervuren | Great Dane | Saint Bernard | Maltese |
Bichon Frise | Great Pyrenees | Samoyed | Toy Poodle |
Border Collie | Greater Swiss Mountain Dog | Schnauzer | Cavalier King Charles Spaniel |
Borzoi | Greyhound | Scottish Terrier | Löwchen |
Boston Terrier | Havanese | Sealyham Terrier | Toy Fox Terrier |
Boxer | Ibizan Hound | Shetland Sheepdog | Catalan Shepherd |
Brittney Spaniel | Icelandic Sheepdog | Shih Tzû | Lhasa Apso |
Bulldog | Italian Greyhound | Shropshire Terrier | Tibetan Terrier |
Bullmastiff | Jack/Parson Russell Terrier | Siberian Husky | Catahoula Leopard Dog |
Bull Terrier | Japanese Chin | Soft Coated Wheaten Terrier | Labrador Retriever |
Canaan Dog | Keeshond | Springer Spaniel | Tibetan Spaniel |
Cardigan Welsh Corgi | Kuvasz | Sussex Spaniel |
Tabella 1: razze di cani in cui è stata riportata sordità congenita
L’allele si produce l’Irish Spotting, un fenotipo con estensione del bianco (da 10-30% della superficie del corpo) in modo simmetrico solitamente su torace, piedi, faccia o testa (ad es. Basenji e Bloodhound sono omozigoti per si). L’allele sp produce il Piebald Spotting, ossia un mantello caratterizzato da maggiore quantità di bianco sul corpo rispetto al precedente (oltre 50%), inclusi gli arti, con casuali macchie di colore (ad es. Beagle è omozigote per sp). L’allele sw o Extreme White Piebald determina un mantello totalmente bianco, o quasi, con macchie di colore soprattutto a livello di orecchie o alla base della coda (ad es. Bull Terrier e Dalmata sono omozigoti per sw).
Questi alleli, elencati in ordine decrescente di dominanza, sono recessivi e quindi devono essere presenti in coppia (in omozigosi) per produrre il quadro tipico. Ma è anche possibile che un cane sia portatore di coppie miste di questi alleli, come ad esempio il Boston Terrier, che normalmente è sisi, ma talvolta può essere sisp, o sisw (Strain 2004). Da recenti studi questi alleli recessivi sembrano essere derivati da una mutazione, sul cromosoma 20 (CFA20) del gene MIFT (microphthalmia-associated transcription factor), che regola il gene tirosinasi codificante l’enzima responsabile della sintesi della melanina (Strain 2011b).
Nel Dalmata il quadro fenotipico si complica ulteriormente, in quanto il mantello è caratterizzato da un colore di base, nero (B) o fegato (b, recessivo semplice); l’allele sw copre il colore col bianco, mentre un altro gene, il ticking dominante (T), determina la comparsa delle macchie sul bianco in quanto responsabile di una retromutazione che provoca la ricomparsa del pigmento su zone apigmentate. (Strain 1996). Gli alleli sp e sw sono presenti in un gran numero di razze soggette a sordità congenita, ma l’allele che produce il bianco molto spesso non è noto (Strain 2003), e questo è il motivo per cui l’ereditarietà della sordità nei cani con i geni piebald non è stata ancora chiarita. Le osservazioni suggeriscono che questa non segua le classiche leggi di Mendel, infatti, sebbene il gene sia recessivo, la sordità nel Dalmata non appare essere né dominante né recessiva. Si è visto che accoppiando due genitori udenti, si possono raramente ottenere cuccioli sordi (e ciò esclude la dominanza), e che accoppiando ripetutamente coppie di Dalmata sordi, si possono ottenere a volte anche cuccioli normali, mentre se il disordine fosse semplicemente recessivo dovrebbero essere tutti sordi. Questi risultati possono essere spiegati attraverso una possibile azione poligenica o la presenza di due differenti geni autosomici recessivi della sordità o di una sindrome a penetranza incompleta (Strain 1996).
Nei cani portatori dei geni del bianco la sordità sembra do- vuta a una forte espressione del gene stesso. Esso infatti è in grado di sopprimere i melanociti non solo nella cute e nel pelo, ma anche nell’iride e nella stria vascularis cocle- are: ne consegue la presenza di iridi azzurre, parzialmente pigmentate o eterocromiche e sordità. Si noti, tuttavia, che non tutti gli animali con gli occhi azzurri sono sordi, e non tutti gli animali sordi hanno gli occhi azzurri, sebbene esista una forte correlazione statistica tra i due caratteri.
La sordità congenita conduttiva o trasmissiva, a differenza della precedente, avviene quando non c’è una corretta trasmissione del suono ai recettori cocleari attraverso l’orecchio esterno e medio. La causa più comune è l’ostruzione del condotto uditivo esterno, per presenza di corpi estranei, detriti, eccessivo accumulo di cerume e neoplasie. Molto frequenti sono anche le otiti esterne, che possono provocare stenosi e occlusione del condotto stesso. Le forme congenite invece sono rare e sono dovute ad anomalie di sviluppo del condotto uditivo esterno, che può mancare o non essere pervio, della catena degli ossicini, o della membrana timpanica. Anche i difetti di conduzione possono essere monolaterali o bilaterali, e non sempre causano sordità completa, ma spesso esitano in una riduzione di gravità variabile della capacità uditiva (Strain 1996; Knowles 2000).
DIAGNOSI
In medicina veterinaria la diagnosi di sordità può essere difficoltosa poiché la mancanza di collaborazione da parte del paziente rende la valutazione soggettiva equivoca, soprattutto in presenza di una perdita parziale o monolaterale dell’udito. L’Esame Obiettivo, è il punto di partenza per fornire il sospetto diagnostico di sordità e indirizzare verso successive valutazioni. In questa sede è possibile provare la risposta dell’animale a stimoli sonori di diversa intensità e frequenza provenienti da diverse direzioni, facendo attenzione a essere fuori dal campo visivo dell’animale. In questa fase è importante evitare ogni vibrazione o spostamento d’aria che l’animale possa percepire con altri sensi.
Alla presenza di udito normale o di sordità monolaterale è possibile evocare il “riflesso di Peyer”, cioè la contrazione riflessa del padiglione auricolare in risposta allo stimolo sonoro, ed alcuni animali possono anche voltarsi verso la sorgente del suono. In caso sordità monolaterale un altro elemento da considerare è l’incapacità di definire la provenienza di un suono, che si manifesta con un leggero disorientamento del soggetto il quale continua a girare la testa in varie direzioni nel tentativo di localizzare la sorgente sonora. L’animale con sordità monolaterale impara velocemente a compensare il difetto con l’aiuto degli altri sensi, e questo fa sì che questi comportamenti passino inosservati, mentre in caso di sordità bilaterale completa non si avrà nessuna reazione.
Tuttavia i metodi empirici possono complicare il quadro diagnostico: infatti, i cani giovani si adattano facilmente ai rumori ripetitivi, oppure sono troppo spaventati o stressati al momento della visita da non prestare attenzione all’esaminatore (Luttgen 1994; Strain 1996).
In ogni caso di sospetta sordità è importante eseguire ini- zialmente gli esami otoscopico e neurologico, per escludere la presenza di patologie dell’orecchio esterno e del sistema nervoso. Infatti, l’esame neurologico può differenziare una malattia centrale da una periferica così come rilevare la pre- senza di sindromi vestibolari o alterazioni a carico di strutture adiacenti all’orecchio, come la paralisi nervo facciale, delle fibre simpatiche che innervano l’occhio (Sindrome di Horner) e di quelle parasimpatiche delle ghiandole lacrimali (Chera- tocongiuntivite Secca).
In caso di gravi disfunzioni neurologiche, che lasciano pensare a un coinvolgimento del sistema nervoso centrale, si rendono necessarie indagini collaterali quali, la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) e le analisi ematochimiche e del liquido cefalorachidiano. La citologia e l’esame colturale rappresentano metodiche semplici e di rapida esecuzione per confermare una diagnosi di otite esterna; mentre in caso di sospetto d’otite interna si può ricorrere alla miringotomia e al prelievo di essudato dell’orecchio medio. La diagnostica per immagini rappresenta anche un utile per evidenziare eventuali alterazioni anatomiche a carico dell’orecchio esterno, medio e, in misura minore, interno (Luttgen 1994; Bianchi e Dondi 2000).
Tuttavia prima di sottoporre il paziente a procedure diagnostiche che possono essere molto impegnative da un punto di vista economico è più agevole eseguire sempre una valutazione funzionale elettrodiagnostica delle vie uditive.
I test elettrodiagnostici sono procedure diagnostiche non invasive che rappresentano l’unico metodo obiettivo in grado di studiare le risposte uditive negli animali e permettono di differenziare il tipo di sordità (conduttiva o neurosensoriale), il suo grado (parziale o completa) e la sua simmetria (unila- terale o bilaterale). Questi esami comprendono l’Impedenza Audiometrica (Timpanometria e Riflesso Acustico) e i Potenziali Evocati Uditivi (Sims 1988).
L’impedenzometro è costituito da una coppia di auricolari che sono inseriti nei condotti uditivi, attraverso i quali pas- sano tre canali: uno per la sonda sonora (oscillatore), uno per la sonda pressoria e uno per il microfono. L’impedenza acustica è ottenuta dal rapporto fra la pressione sonora, o ampiezza dell’onda pressoria, e la velocità di oscillazione delle particelle d’aria rispetto al punto d’equilibrio. Data la struttura anatomica dell’orecchio, l’onda sonora passa dal condotto acustico esterno, dove c’è aria, al meato interno dove è contenuta l’endolinfa, che è un fluido contenuto nella coclea che ha densità e impedenza diverse dall’aria. Il meccanismo degli ossicini presenti nell’orecchio medio ha il compito di ridurre questo dislivello d’impedenza favorendo la trasmissione delle onde sonore all’interno della coclea; infatti, la trasmissione ottimale di energia tra due mezzi diversi si ottiene quando essi hanno la stessa impedenza. Pertanto, l’impedenza audiometrica può essere utilizzata per valutare l’integrità dell’orecchio medio, della coclea, del nervo facciale e vestibolo-cocleare e di alcuni tratti del tronco encefalico (Knowles 2000).
I Potenziali Evocati Uditivi del Tronco Encefalico, definiti con acronimi diversi secondo la terminologia anglosassone utilizzata in origine (BAER, da Brainstem Auditory Evoked Responses; BAEP, da Brainstem Auditory Evoked Potentials; ABR, Auditory Evoked Responses), permettono di registrare l’attività del nervo vestibolo-cocleare e di tutte le strutture che compongono la via acustica fino alla corteccia, e di rappre- sentarla come funzione d’onda su di un piano cartesiano, in cui in ordinata sono indicate le differenze di potenziale (in microvolt) e in ascissa i tempi di latenza espressi in millise- condi (Bianchi e Dondi 2000). Il tempo di comparsa delle onde dopo l’applicazione dello stimolo riflette la conduzione nervosa lungo la via acustica. Le onde a breve latenza (cioè ottenute con registrazioni brevi, nei 10 ms successivi alla stimolazione) derivano per lo più dal tronco encefalico, (Harvey et al. 2002), mentre le onde a media latenza (10-50 ms), a latenza ritardata (50-250 ms) e a lunga latenza (oltre i 250 ms) indicano progressivamente livelli più alti lungo il neuroasse (Sims 1988).
Il test è eseguito su animali sedati e disposti in decubito sternale, condizione necessaria per contenere i soggetti e ottenere tracciati senza interferenze dovute ad artefatti mu- scolari. La registrazione si esegue mediante aghi-elettrodo monopolari della lunghezza di 10 mm posti nel sottocute. Il tracciato, che si ottiene è rappresentato da 5-7 onde indicate con numeri romani da I a VII. Ciascuna di esse corrisponde all’attivazione di una precisa struttura della via acustica e ciò consente di localizzare con una certa precisione la sede di una eventuale lesione lesione. Nel complesso l’esame ha una durata complessiva di circa 15 minuti. (Dondi e Bianchi 1997). L’onda I è prodotta dal nervo acustico, la II origina dal nucleo cocleare e la III dalla porzione caudale del ponte, dal corpo trapezoide e/o dal nucleo dorsale del corpo trapezoide (oliva superiore). L’onda IV è generata dalla porzione media e craniale del ponte a livello dei nuclei e dei tratti del lemnisco laterale, mentre l’onda V da quelli del collicolo inferiore e, a causa della vicinanza anatomica delle due strutture, le due onde spesso si sovrappongono. Le onde VI e VII, di solito poco visibili, si ritiene siano prodotte rispettivamente dal corpo genicolato mediale e dalle radiazioni acustiche sottocorticali (Fig. 3). Sui tracciati ottenuti si esegue un’analisi di tipo qualitativo, legata alla forma delle onde, e un’analisi di tipo quantitativo, in cui vengono considerati tre parametri: la soglia uditiva, la latenza e l’ampiezza delle onde (Harvey et al. 2002).
La soglia uditiva, espressa in dB, è la più bassa intensità di stimolazione in grado di dare ancora origine all’onda V sul tracciato, mentre l’ampiezza di un’onda, espressa in mV, si misura dal suo picco positivo al picco negativo successivo ed è causata dalla depolarizzazione delle strutture reclutate. La latenza è invece il tempo, espresso in ms, che intercorre tra la stimolazione e l’insorgenza del suo picco positivo (Tab. 2). Oltre a questa latenza, detta assoluta, si considerano anche le latenze relative tra i picchi o interpicco (IPL, interpeak latency), cioè confrontando la latenza tra i picchi positivi delle due onde prese in considerazione, e la differenza di valori tra le due orecchie (DIPL, differential interpeak latency). Un’ulteriore analisi, infine, è quella relativa alla curva latenza-intensità, utile soprattutto per differenziare la sordità da conduzione da quella neurosensoriale (Dondi e Bianchi 1997).
Nel tracciato BAEP del cane le onde a maggior ampiezza sono, in ordine decrescente, la I, la V e la II, mentre le onde III, IV e VI hanno ampiezze più piccole. Tra tutte le onde le più riconoscibili sono la I (a volte preceduta da artefatti da stimolo o e da potenziali microfonici auricolari) e la V, poiché presenta una grande ampiezza ed è seguita da un profondo picco negativo che la rende caratteristica. Esistono comun- que notevoli variabilità individuali, come lo sdoppiamento o la fusione parziale o totale tra più onde; molto frequente è la fusione tra le onde III e IV, con la prima che appare predo- minante, e tra le onde IV e V, con predominanza dell’onda V. Le forme delle onde possono essere influenzate anche da alcuni fattori tecnici, come ad esempio la posizione degli elettrodi, l’intensità, la frequenza e la polarità dello stimolo. Altri fattori fisiologici che possono influire sulle BAEP sono fattori soggettivi come l’età, il sesso, la taglia, in particolare la dimensione del cranio, e la temperatura del corpo. Soggetti con meno di 5 settimane di vita non hanno ancora raggiunto una maturazione completa dell’apparato uditivo per cui le onde possono presentare alterazioni di latenza e ampiezza, per questo non è consigliabile effettuare il test prima di questo periodo (Sims 1988).
Fig. 3.: Potenziali evocati auditivi del tronco encefalico (BAEP). Inferiormente si osserva un tracciato BAEP (ABR) ottenuto dalla stimolazione acustica dell’orecchio del cane; sono ben evidenziate le onde I, II, III, IV, V, VI e VII. A volte le onde III, IV e V possono essere in parte sovrapposte e le onde VI e VII possono non essere apprezzabili. Superiormente è indicato uno schema delle correlazioni elettrofisiologiche e anatomiche.
Tab. 2.: Intervalli normali di riferimento per le latenza delle onde BAEP nel cane e autori dai quali sono stati riportati. (1) Sono riportati separatamente i valori nelle due orecchie. (2)Valori registrati in animali non sedati (in alto) e sedati (in basso).(3)Le latenze in alto si riferiscono a cani con lunghezza del cranio compresa fra 5 e 8 cm, quelle in basso a sog- getti con cranio superiore a 8 cm.(4)Sono anche riportate le latenze ottenute impiegando due protocolli anestetici diversi (Dondi e Bianchi 1997).
I BAEP possono essere ottenuti mediante stimolazione acustica o tramite vibrazione ossea. Quelli ottenuti per stimolazione ossea presentano la stessa configurazione finora descritta per la stimolazione acustica, salvo per alcune variazioni riguardanti l’ampiezza e la latenza delle onde. L’ampiezza, infatti, è diminuita, mentre la latenza è più breve poiché il tempo di trasmissione ossea dello stimolo risulta inferiore rispetto a quello necessario ai click aerei per raggiungere i recettori cocleari. Quindi, i due tracciati sono grossomodo sovrapponibili con un lieve spostamento a sinistra delle onde nei BAEP a conduzione ossea (Strain 1996).
USI CLINICI DEL BAEP
In corso di sordità conduttiva (o trasmissiva) l’intensità dello stimolo pressorio condotto dall’orecchio esterno e medio è ridotta, quindi si osserva un aumento di latenza e una dimi- nuzione di ampiezza dell’onda I, fatto che determina riduzione dell’ampiezza anche nelle onde successive, con latenze in- terpicco sostanzialmente invariate (Sims 1988; Luttgen 1994). In caso di sospetta sordità da conduzione è importante registrare i BAEP ottenuti per stimolazione ossea e confron- tarli con il tracciato a stimolazione aerea (Figg. 4a e 4b). La differenza tra i valori della soglia di sensibilità fra i due tipi di stimolazione è definita air bone gap ed è un reperto caratteri- stico della sordità conduttiva. Valori alterati nel tracciato BAEP acustico e normali in quello osseo, associati alla presenza di air bone gap e a eventuali anomalie nel timpanogramma e/o nel riflesso acustico, indicano con sicurezza, se il difetto è di tipo conduttivo. Se invece il soggetto con deficit uditivo non presenta air bone gap, l’ipoacusia è da attribuire alla coclea o al nervo acustico. In alcuni casi possono essere presenti entrambi i tipi di sordità, neurosensoriale e di conduzione, e in questa circostanza si osserva sia un aumento della soglia per la conduzione ossea, che indica un difetto neurosensoriale, sia air bone gap, che quantifica la componente conduttiva accessoria (Munro 1997).
Fig. 4.: Tracciati BAER ottenuti da un cane con sordità periferica completa di tipo conduttivo a carico dell’orecchio destro. La figura 4a, ottenuta con stimolazione acustica evidenzia sul lato sinistro (A2B2) un tracciato normale, mentre sul lato destro (C2D2) assenza patologica delle onde (tracciato isoelettrico). La figura 4b mostra tracciati ottenuti mediante stimolazione ossea, nella quale si evidenzia una normale latenza delle onde, e la loro simmetria sui due lati.
In caso di sordità periferica completa (neurosensoriale), l’onda I è totalmente assente, così come le onde successive; ne risulta un tracciato piatto, isoelettrico, cioè privo di onde. Questo quadro si riscontra tipicamente nei cuccioli con sordità ereditaria congenita (Figg. 5a, 5b e 6) testati a partire dalle 5 settimana di vita, quando la degenerazione delle cellule capellute della coclea risulta completa (Strain, 1996); Tracciati isolettrici simili, che indicano la presenza di sordità completa, si riscontrano anche in seguito a infezioni, come otiti interne e meningiti, lesioni del nervo acustico, traumi.
Fig. 5.: Tracciati BAEP (ABR) ottenuti con stimolazione acu- stica (5a) e con stimolazione ossea (5b) in un cucciolo con sordità congenita periferica neurosensoriale monolaterale destra; il tracciato dell’orecchio di sinistra è normale (tracciato inferiore isoelettrico).
Fig. 6.: Cucciolo affetto da sordità congenita periferica neurosensoriale completa bilaterale (entrambi i tracciati sono isoelettrici).
Nella sordità periferica parziale, come quella conseguente a malformazioni, presbiacusia o ototossicosi, l’onda I è ancora visibile, ma la latenza di comparsa del picco è aumentata e l’ampiezza delle onde risulta diminuita (Figg. 7a e 7b).
Figg. 7a e 7b.: Tracciati BAER di due cani con differenti quadri si sordità parziale conduttiva. Nel primo caso (Fig.7a), cane affetto da sordità conduttiva monolaterale sinistra parziale, il tracciato dell’orecchio destro (C2D2) è normale, mentre quello di sinistra (A2B2) presenta onde con latenze aumentate e ampiezze diminuite; nel secondo caso (Fig. 7b), cane affetto da sordità conduttiva bilaterale parziale bilaterale più grave a destra, presenta un’assenza quasi completa delle onde sul lato destro (C2D2), mentre sul lato sinistro (A2B2) queste sono molto più evidenti ma hanno latenza aumentata ed ampiezza diminuita.
PREVALENZA DELLA SORDITÀ CONGENITA
La sordità congenita è stata osservata nel corso degli anni in circa 90 razze canine, elencate nella Tabella 1, in cui si presume una componente ereditaria associata ai geni della pigmentazione bianca della cute (Strain 2011). I dati sulla sua prevalenza però non sono esenti da lacune: infatti, gli studi epidemiologici più antichi avevano il limite dello scarso impiego di test elettrodiagnostici, fatto che permetteva l’inclusione negli studi solo i casi conclamati di sordità bilaterale, sottostimando così la patologia.
Le razze maggiormente studiate sono state quelle portatrici del gene piebald, prima tra tutte la Dalmata. Questa, in uno studio effettuato nel 1996 negli USA, aveva una prevalenza del 30% circa, di cui 8% bilaterale e 22% monolaterale (Strain1996). Mentre in Norvegia nel 2002, la prevalenza era del 16.5% (7.1% bilaterale e 9.4% monolaterale), fatto probabilmente dovuto all’esclusione dallo Standard di Razza i soggetti con gli occhi azzurri (Muhle et al. 2002).
Uno studio successivo di Strain (2010) riporta la prevalenza in 5 razze, portatrici di uno degli alleli recessivi del gene S: Dalmata (29,6%, di cui 21,7% sordi monolaterali e 7,8% bilaterali), Setter Inglese (12%, di cui 10 monolaterali e 2% bilaterali), Cocker Spaniel Inglese pluricolorato (5,9%, di cui 5,1% monolaterali e 0,8% bilaterali), Cocker Spaniel Inglese colore solido (1,3%, di cui 1,3% monolaterali)(, Bull Terrier Standard Bianco (20,6%, di cui 18,3% monolaterali e 2,2% bilaterali), Bull Terrier Standard Colorato (1,3%, di cui 1,3% monolaterali), Australian cattle dog (14,5%, di cui 12% monolaterali e 2,5% bilaterali).
Altri studi di prevalenza riguardano il Norwegian dunkerhound, in cui la sordità è stata riportata al 75% in tutti gli animali bianchi, e il Bassotto pezzato (merle), dove il 18.2% dei soggetti testati presentava sordità bilaterale e il 36.4% sordità unilaterale (Strain 2003).
E’ interessante notare che l’analisi statistica non ha dimostrato una correlazione significativa tra genere sessuale e sordità, mentre una correlazione significativa è stata riscontrata tra lo stato uditivo dei genitori e la sordità dei figli, che risultano avere una maggiore probabilità di essere sordi se uno o entrambi i genitori sono affetti. Inoltre, la prevalenza in soggetti che hanno almeno un parente sordo è maggiore (42%) rispetto a quella che si ha con due parenti sani (27%) (Strain 2004b). Sulla prevalenza di sordità legata all’allele dominante M nelle varie razze esistono pochi studi. Al riguardo Strain (2009) ha rilevato una correlazione significativa tra lo stato uditivo e il genotipo merle: con il doppio merle più incline alla sordità rispetto al merle singolo. Invece non ha evidenziato una correlazione significativa tra sordità e colore degli occhi o genere sessuale. Inoltre, ha rilevato che i tassi di sordità nella popolazione canina con allele merle sono compatibili con quelli di cani omozigoti per l’allele piebald, anche se la probabilità di sordità nelle razze che presentano un merle singolo non è alta come per i Dalmata e i Bull Terrier bianchi portatrici del gene piebald. Infine, è importante sottolineare che l’impatto dell’allele merle sulla sordità è variabile a seconda della razza considerata: ad esempio il Collie, il Border Collie e lo Sheltie sembrano più colpite di altre razze come il Catahoula.
Nel Regno Unito due studi retrospettivi effettuati nel 2006 e nel 2011 effettuati su Border Collie evidenziano rispettiva- mente tassi di prevalenza del 2.3% e del 2,1% per la sordità monolaterale e 0.5% per quella bilaterale. (Platt et al. 2006; De Risio et al. 2011)
STRATEGIE DI CONTROLLO
Finora non sono stati identificati i geni e i meccanismi responsabili della sordità neurosensoriale congenita, quindi non possono essere introdotti test del DNA per lo screening degli animali. Il modo più sicuro per ridurre la prevalenza di questo tipo di sordità è il controllo degli accoppiamenti sulla base delle correlazioni descritte in precedenza tra sordità e stato uditivo dei genitori. Nello specifico gli allevatori devono prevedere che animali sordi appartenenti a razze a elevato rischio di sordità non siano messi in riproduzione, considerando che i cani con sordità unilaterale sono geneticamente identici a quelli con sordità bilaterale. E’ anche consigliabile non accoppiare cani con gli occhi azzurri, né cani la cui l’anamnesi segnala nascite di molti animali sordi. Se in una cucciolata nascono soggetti sordi, evitare in futuro quell’accoppiamento. Queste norme, se pur restrittive, sono indispensabili per limitare la diffusione della malattia e si sono dimostrate efficaci nel ridurre l’incidenza di sordità negli allevamenti in cui sono state rigorosamente rispettate.
ASPETTI PROGNOSTICI, TERAPEUTICI, E GESTIONALI DELLA SORDITÀ CONGENITA
La prognosi, così come l’approccio terapeutico alla sordità nel cane, è fortemente influenzata da vari fattori, primo fra tutti la distinzione tra sordità di conduzione e sordità neurosensoriale. Ne deriva che una corretta diagnosi è fondamentale e imprescindibile per la scelta della possibile terapia.
In caso di sordità di conduzione l’approccio sarà volto a eliminare, se possibile, la causa del danno uditivo e a ripristinare così la funzionalità dell›orecchio. Inoltre è ipotizzabile l’uso di apparecchi acustici in grado di garantire la trasmissione del suono alla coclea al posto delle strutture danneggiate. In caso di sordità neurosensoriale, la degenerazione a carico delle strutture dell’orecchio è irreversibile, per cui solamente se presente una funzionalità uditiva residua è possibile utilizzare un apparecchio acustico, come può verificarsi nella presbiacusia. In caso di sordità ereditaria completa la loro applicazione risulta inutile.
L’utilizzo di apparecchiature sofisticate, come le protesi cocleari, non è ancora disponibile in medicina veterinaria, ma non ciò non esclude che la crescente attenzione verso gli animali da affezione possa determinarne l’impiego in futuro. Si può comunque affermare che la qualità di vita degli animali sordi può essere accettabile. I cuccioli con sordità unilaterale non hanno particolari problemi di sviluppo e spesso i proprietari non si accorgono neppure del problema. Inizialmente questi animali possono avere difficoltà a individuare la provenienza dei richiami, ma compensano velocemente e nel tempo hanno una vita di relazione completamente normale.
I soggetti con sordità bilaterale, invece, a volte hanno problemi di adattamento e possono sviluppare disturbi comportamentali se non educati nel modo corretto. Il loro addestramento richiede particolari attenzioni, che devono iniziare precoce- mente, addirittura sostituendosi, in parte e per il possibile, alle cure parentali. Infatti, la continua mancanza di preavvisi a condizioni frustranti o dolorose, come i rimproveri materni o del padrone, che sopraggiungono sempre improvvisi e per loro immotivati, spingono alcuni animali particolarmente sensibili a sviluppare comportamenti ansiosi o aggressivi. La loro necessità di mantenere un costante contatto visivo per sopperire alle carenze uditive può determinare anche dipendenza fisica nei confronti del padrone o di altri animali con cui vivono in contatto (Luttgen 1994; Harvey et al. 2002). I cani sordi possono essere comunque addestrati con suc- cesso attraverso l’utilizzo del linguaggio del corpo o di segnali luminosi, permettendo di associare gli stimoli a determinati comandi. Attraverso segnali semplici e precisi si possono insegnare comandi elementari oppure comunicare apprezza- menti, elementi consolidati tramite il tatto, che è essenziale per trasmettere sicurezza e fiducia. Nel complesso, anche se gli animali sordi sono difficili da allevare, possono essere fonte di grande soddisfazione per la profondità del rapporto che sono portati ad instaurare con il padrone (Strain, 1996; Cope-Becker 1997).
CONCLUSIONI
Sulla base di quanto detto si evince come la sordità congenita del cane sia una condizione molto diffusa e ancora scarsa- mente diagnosticata, fatto che comporta enormi conseguenze sanitarie ed economiche.
Siccome la sordità congenita ereditaria si sviluppa a 4-5 settimane, periodo entro il quale si completa la degenerazione cocleare, tutti i soggetti appartenenti a razze considerate a rischio dovrebbero essere sottoposti all’esame BAEP tra la quinta e l’ottava settimana di vita. Infatti, non essendo ancora disponibili test basati sull’analisi del DNA, l’esame BAEP rimane l’unico metodo sicuro in grado di escludere o confermare la presenza della patologia.
Al momento dell’esame è rilasciato un Certificato Ufficiale attestante lo stato funzionale delle vie uditive, sulla base del quale negli ultimi vent’anni è stato possibile impostare piani di selezione efficaci che hanno permesso di ridurre drastica- mente l’incidenza della malattia in diverse razze.
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